IL FASTIDIOSO POLITICALLY CORRECT DEL FRANCHISE POTTERIANO
Chi mi segue da tempo sa che, pur amando la saga di Harry Potter, non ho mai lesinato critiche a quest’ultima e/o alla sua autrice quando ho ritenuto che fosse il caso di farle. Ebbene, questa è una di quelle occasioni.
Avrete infatti letto che, per la commedia teatrale The Cursed Child, l’attrice che è stata scelta per interpretare Hermione è nera. Ora, a me non interessa se è nera, gialla o di etnia marziana e col naso a trombetta, se questo non cambia, come in effetti non cambia, il senso della storia. Però mi disturba enormemente il politically correct a ogni costo e un’Hermione nera oggi non può essere altro che espressione di questo.
La Rowling ha difeso la scelta affermando che nel testo nulla ci indica che non possa essere nera piuttosto che bianca. Vero, ma la signora ci sta ugualmente menando per il naso in nome del politically correct, e a me essere menata per il naso disturba assai, e ancor più se in nome del politically correct che detesto visceralmente, essendo persona che dice sempre pane al pane…
Se, infatti, Hermione fosse stata nera, la Rowling lo avrebbe fatto presente ai tempi del casting del film, come fece effettivamente quando si trattò di scegliere Dean Thomas (fu in quell’occasione che il regista Chris Columbus scoprì che Dean era nero, e noi con lui) oppure quando fece presente al produttore che non era possibile aggiungere al copione un ricordo di una passione di gioventù di Silente per una signora, perché Silente era gay (anche questa, rivelazione a ciclo concluso che puzza assai di volontà sensazionalistica a posteriori ma vabbè, in questo caso non possiamo non concedere alla Rowling il beneficio del dubbio che, nel caso di Hermione, invece non può essere assolutamente concesso per il motivo appena spiegato). Aggiungo poi che, dai libri, non si evince nemmeno che Kingsley Shacklebolt sia nero, ma nel film lo è, quindi l’autrice deve averlo fatto presente.
Dobbiamo dunque credere che, se uno dei personaggi di maggior spicco della saga fosse stata scelta del colore ‘sbagliato’, l’autrice non lo avrebbe fatto subito notare? Suvvia!
Ma quel che mi disturba ancora di più del politically correct, e che denuncio da sempre, è l’adozione dei due pesi e delle due misure, perché non va dimenticato che la Rowling ha sempre preteso che i maghi britannici fossero impersonati da attori con passaporto britannico! E, porca miseria, se non è discriminazione questa! La ‘scusa’ ufficiale è sempre stata quella del pericolo dell’accento yankee, il che è una scemenza grossa come un complesso condominiale, in quanto la prima cosa che fa un bravo attore è prendere lezioni di dizione (non è un caso che, in Italia, i migliori attori non siano infatti gli attori, che quasi mai si prendono questo ‘disturbo’, bensì i doppiatori). E se forse – e ripeto forse – sarebbe stato pretenderlo troppo dai maghi bambini, di certo non lo sarebbe stato dagli attori adulti. Vorrei poi ricordare, ancora una volta, che negli Anni ’30 gli Americani non si fecero queste menate ridicole e provinciali quando assegnarono la parte di Rossella O’Hara alla britannica Vivien Leigh, che non solo ci regalò una immortale intepretazione ma si mise appunto, da garnde professionista quale era, a lavorare di brutto sul suo accento, in modo da essere il più possibile convincente nella parte di una ricca rampolla del Sud.
E dopo aver adottato questo ‘criterio’ di selezione, la Rowling ha avuto anche il coraggio di paragonare i sostenitori dell’indipendentismo scozzese alla filosofia razzista dei Mangiamorte!
In realtà questa deprecabile puzza sotto al naso rispetto agli attori americani è dettata dal solito, radicato snobismo britannico nei confronti dei loro cugini che abitano “l’altra parte dello stagno”. Il Britannico medio, infatti, considera gli Americani degli zerbinotti ignoranti senza storia e senza cultura, contrapposta invece alla grandeur del loro ex Impero.
Ah, naturalmente però, come ogni regola, ci sono le eccezioni, soprattutto quando fanno comodo: così, alla figlia del regista Chris Columbus, americanissima come il papà, non è stato certo rifiutato un cameo nei primi due film fra i compagni di corso di Harry Potter. Così come ha fatto assai comodo che a finanziare i film della serie e i parchi tematici fossero dei bei dollaroni dello Zio Sam anziché le blasonate sterline di Sua Maestà.
Allora, per parte mia, preferirei meno ipocrisia e meno politically correct, che ne è una diretta emanazione. Ma vedo che, invece, il franchise continua