L’ATTENZIONE DELLA ROWLING PER IL CIBO, ANCHE IN THE ICKABOG
J.K. Rowling sta pubblicando online, gratuitamente e a puntate, una nuova fiaba chiamata The Ickabog, di cui ho parlato in questo articolo.
Anche se questo nuovo lavoro non ha nulla a che vedere con Harry Potter, la spiccata predilezione della scrittrice per le caratterizzazioni delle ambientazioni anche attraverso il cibo è molto presente anche stavolta. Del resto, nel racconto fantastico, il cibo è uno degli elementi utili a creare, fra l e altre cose, quell’idea di ‘Paese della Cuccagna’ che, nell’epoca in cui nacquero le fiabe classiche e l’epica (progenitori del moderno fantasy), per la maggioranza della popolazione era solo un sogno vagheggiato e dunque ben rendeva il senso di un Altrove in cui tutto è possibile.
The Ickabog è una fiaba è ambientata infatti nel regno di Cornucopia, simbolo atavico di abbondanza e fertilità, raffigurato da un corno ricolmo di frutti e circondato di erbe e di fiori. In questo regno compaiono quattro villaggi, ciascuno dedito all’attività artigianale di uno specifico comparto alimentare. Vi è anzitutto il villaggio chiamato Chouxville, il cui nome richiama la pasta choux che, in pasticceria, è utilizzata per confezionare beignet, èclair e profiterole ed è realizzata con acqua, burro, farina, zucchero e uova. Ville è invece il vocabolo francese per definire un paesino. La scrittrice narra che qui – dove i frutteti, i campi di cereali e l’allevamento di mucche da latte sono fiorenti e regalano la materia prima – si confezionano dolci di una bontà suprema che viene descritta così:
“Pensa, per piacere, alla torta o al biscotto più deliziosi che tu abbia mai assaggiato. Bene, lascia che ti dica che si sarebbero assolutamente vergognati di servirli a Chouxville. A meno che gli occhi di un uomo adulto non si riempissero di lacrime di piacere mentre mordeva un pasticcino di Chouxville, questo veniva ritenuto un fallimento e non sarebbe stato mai più prodotto.
Le vetrine dei fornai di Chouxville erano piene di prelibatezze come I Sogni delle Donzelle, le Culle delle Fate e, soprattutto, le Speranze di Paradiso, che erano così squisitamente, dolorosamente deliziose da essere conservate per occasioni speciali e tutti piangevano per gioia mentre le mangiavano”.
Accanto a Chouxville, vengono poi menzionati il villaggio di Kurdsburg (burg è la parola tedesca equivalente al nostro borgo, non sono riuscita invece a ricondurre la parola kurd a qualcosa di etimologicamente rilevante in questo contesto, ma – conoscendola – ci sarà senz’altro una spiegazione nella scelta della scrittrice), patria dei formaggi più squisiti che si possano immaginare e quello di Baronstown, dedito alla lavorazione delle carni, fra cui i famosi prosciutti affumicati, le salsicce speziate, i pasticci di cacciagione, la pancetta e le bistecche di manzo. Qui il nome potrebbe aver subìto l’influenza del fatto che, Inglese, baron of beef sia la lombata di manzo, ma è solo una supposizione. Town è invece l’equivalente inglese di una nostra piccola cittadina. Ci viene descritto, in particolare, come gli odori combinati di questi due ultimi paesi fossero percepibili fino a quaranta miglia di distanza e fossero i grado di stimolare un’irresistibile acquolina.
Infine ci viene nominata Jeroboam, famosa per le vigne cariche di succosi e dolcissimi chicchi grossi come uova e i vini che grazie a esse era in grado di produrre. In Inglese, la parola jeroboam designa una bottiglia di vino gigante.
La caratterizzazione è presentata già nel primo capitolo. Al momento in cui scrivo il presente articolo, i capitoli online sono 19, e il cibo ha continuato a comparire: fino ai primi 5 come mera caratterizzazione ambientale; successivamente, come mezzo di conforto fisico e psicologico (non scendo in dettagli per non spoilerare). Vedremo se nel prosieguo emergerà qualche altra sfaccettatura.
Se siete interessati all’angolazione narrativa del cibo nella letteratura fantastica colgo l’occasione per segnalarvi due altri miei approfondimenti sul tema: il primo è un saggio in volume dedicato proprio a Harry Potter, dal titolo Harry Potter: il cibo come strumento letterario, che trovate qui; il secondo è un saggio breve contenuto nell’antologia Hobbitologia, che trovate qui